Acalasia Esofagea

 

L’acalasia esofagea è una malattia rara: viene riportata una incidenza lievemente inferiore ad un nuovo caso ogni 100.000 abitanti/anno, anche se va rilevato che mancano studi epidemiologici recenti e metodologicamente validi effettuati nel nostro paese o almeno nell’area dell’Europa mediterranea.

 Pur nella sua relativa rarità l’acalasia è il disturbo motorio più frequentemente osservato nell’esofago.

 

Da un punto di vista funzionale l’acalasia è caratterizzata da una scomparsa della peristalsi nel corpo esofageo e da un assenza parziale o totale del rilasciamento dello SEI (Sfintere Esofageo Inferiore) alla deglutizione: la conseguenza di queste alterazioni è un ostacolo alla progressione del bolo dall’esofago allo stomaco con accumulo di materiale indigerito nell’esofago e progressiva dilatazione dell’esofago stesso (megaesofago acalasico)

 

La tipica sintomatologia dell’acalasia è la disfagia: il paziente avverte un senso di arresto del bolo che in genere (ma non sempre) localizza con precisione al cardias; il paziente inoltre riferisce la necessità di bere durante i pasti per “spingere” il bolo nello stomaco; un altro sintomo spesso presente è il rigurgito di cibo o di saliva, specie durante la notte; inoltre associato alla disfagia può esservi dolore toracico, talvolta scatenato dagli atti deglutitori, ma anche ad insorgenza notturna, più frequente nelle fasi iniziali della malattia

 

Diagnosi e Trattamento:

 

L’iter diagnostico terapeutico deve partire dalla storia naturale del paziente tenendo ben presente i concetti di appropriatezza.

 

 

 

E’ necessario rivolgersi ad un centro di elevata specializzazione in cui operano in equipe un team multidisciplinare di cui fanno parte:

 

gastroenterologi

chirurghi

nutrizionisti

radiologi

 

Possibilità Terapeutiche:

Trattamento farmacologico: Tra le numerose sostanze che hanno un effetto rilassante sullo sfintere esofageo inferiore (anticolinergici, teofillina, Beta2 agonisti, sidenafil) solo i calcio antagonisti (nifedipina, diltiazem) e l’isosorbide dinitrato sono stati usati clinicamente. La terapia farmacologica viene usata per brevi periodi in attesa di trattamenti più efficaci e sempre sotto lo strettop controllo dello specialista

 

Trattamento endoscopico: si effettua eseguendo endoscopicamente una dilatazione  pneumatica del SEI oppure un infiltrazione di tossiba botulinica al fine di ridurre la contgrazione del SEI

 

 

 

Trattamento Chirurgico -Miotomia laparoscopica: Heller nel 1913 eseguì la prima miotomia: l’intervento da lui proposto consisteva in una duplice miotomia longitudinale lungo i bordi dell’ esofago terminale. Da allora l’intervento subì alcune modifiche: la miotomia fu ridotta ad una sola (Zaajer), la via di accesso fu di volta in volta a seconda delle preferenze dei chirurghi, una toracotomia sinistra, una laparotomia o più recentemente un accesso laparoscopico, fu aggiunta una plastica antireflusso, ma il concetto sostanziale dell’intervento di sezionare le fibre muscolari senza ledere la sottostante mucosa rimase immodificato.

 La applicazione delle tecniche laparoscopiche a questo intervento iniziò nei primi anni ’90: la tecnica chirurgica consiste, dopo aver creato il pneumoperitoneo, nell’esposizione della faccia anteriore dell’esofago e nella realizzazione di una miotomia lunga da 6 a 8 cm, di cui 1.5-2 cm sul versante gastrico del cardias, preferibilmente rimanendo alla sinistra del nervo vago anteriore. L’intervento viene completato con una fundoplicatio parziale anteriore, a 180°, secondo Dor, con tre punti per lato a fissare il fondo gastrico ai due bordi della miotomia, per prevenire il reflusso gastro-esofageo. In  prima giornata postoperatoria viene eseguito un controllo radiologico del tubo digerente con mezzo di contrasto idrosolubile (Gastrografin®) per evidenziare eventuali perforazioni esofagee, se l’esame è negativo si rimuove il sondino naso gastrico e il paziente inizia a bere; nei successivi 10-15 giorni al paziente è consentita alimentazione con dieta soffice, per poi passare a dieta libera. La degenza ospedaliera è di 3-4 giorni

 

Cercare un buon medico non è cosa facile.

Ma anche essere un "buon paziente" non è facile.

 

Paolo Cornaglia Ferraris, 2002

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© Gabriele Pozzo